A Venezia la macabra storia di Biasio “el luganegher” è giunta fino a noi nella toponomastica e nei canti popolari della città.
Anche quel giorno la locanda del “luganegher” Biasio era piena ed era difficile trovare posto a sedere. Il profumino di aromi e carne chiamava gli avventori affamati già dalla riva e dalle calli vicine e il rumore delle posate sulle scodelle e i commenti soddisfatti di apprezzamento erano garanzia di un ottimo pasto.
Era l’inizio del XVI secolo e il proprietario della locanda era un tal Biasio Cargnio, o Carnico, che era venuto a Venezia a cercar fortuna. Non sappiamo se “Cargnio” o “Carnico” era il suo cognome o un appellativo per indicare che era originario della Carnia, dove aveva vissuto con la sua famiglia e aveva imparato il mestiere. Biasio era un “luganegher”, ovvero un salsicciaio o un macellaio, e gestiva la sua taverna dove vendeva vino e salumi. La bottega si trovava nel sestiere di Santa Croce, vicino al campo San Zan Degolà. Tra i piatti serviti dal Biasio ce n’erano di molti tipi, ma soprattutto uno aveva un grande successo: lo “sguaseto”, il guazzetto, uno spezzatino di carne con l’aggiunta di salsiccia e condito con spezie ed aromi vari talmente buono che “tutte le barche venivano da Mestrina arivavano all’hostaria di Biasio”. Si racconta che “Squisito n’era il sapore, modico il prezzo, sempre pronta e fumante la vivanda; per cui egli ne aveva un smercio considerevole ogni dì, e ne buscava denari e fama”.
In molti si chiedevano quale fosse il segreto di un intingolo così gustoso finché un giorno la ricetta fu svelata. Quel giorno un avventore stava gustando lo “sguaseto” che aveva ordinato, quando si ritrovò tra i denti qualcosa di duro. Credendo che fosse un osso lo sputò nel piatto e si accorse che si trattava della falange di un dito con l’unghia ancora attaccata. Spaventato e disgustato, l’uomo si rivolse alla “Quarantia Criminale”, la magistratura veneziana dell’epoca e quella sera stessa Biasio fu arrestato e incarcerato.
Viscere, arti e piccoli organi servivano al Carnio, “spinto da estro diabolico”, per preparare il suo saporito “sguazeto”; la carne veniva lasciata macerare nel vin rosso e insaporita con spezie. Era il Biasio stesso a macellare e frollare la carne e a scegliere le sue vittime di giovane età, perché così erano più morbide e gustose. Non si seppe mai come il Biasio riuscisse a procurarsi i fanciulli, né quanti ne uccise in nome del denaro.
Secondo i manoscritti dei Registri dei Giustiziati che si trovano nella Biblioteca Marciana, il 18 novembre 1503 fu emessa la sentenza della Quarantia Criminale: il Carnio fu “tratto a coda di cavallo dalla carcere alla sua bottega, ove subì il taglio d’ambe le mani. Nel ritorno fu per istrada tanagliato, e giunto fra le due colonne della Piazzeta, decapitato, e messo a quarti, che s’appesero alle solite forche”. La casa e la bottega del “luganegher” furono rase al suolo e da allora, secondo la tradizione, la riva dove erano collocate prese il nome di “Riva de Biasio“, in ricordo di questo macabro capitolo della storia.
Giuseppe Tassini, uno storico del XIX secolo tra i più famosi appassionati di Venezia e della sua toponomastica, mette in dubbio la datazione emersa dai documenti, affermando che la riva era denominata così già più di un secolo prima dell’epoca attribuita dai Registri dei Giustiziati all’evento da essi narrato. C’era stato un processo risalante al 7 giugno 1395 contro un altro Biagio varotèr, reo confesso che aveva operato i suoi loschi traffici sulla “ripam Blasii”.: “Item dixit et confessus fuit quod circa unum annum, de die precise non recordatur, et fuit tempore estivo, quod de contracta Sancti Johannis decolati, penes ripam Blasii, de illa callesella stricta quae vadit supra canale […]”. È possibile che si sia verificato un errore nella trascrizione della data, ma resta il fatto che la macabra vicenda è giunta fino a noi e ve n’è traccia nella toponomastica della città e in un canto popolare raccolto da Iacopo Vincenzo Foscarini nel suo libro “Canti pel popolo veneziano”.
“Su la riva de Biasio l’altra sera
so andata col putelo a ciapar l’aria
ma se m’ha stretto el cuor a una maniera
che la mia testa ancora se savària:
me pareva che Biasio col cortelo
tagiasse a fete el caro mio putelo!
E a mi me par invece che sia megio
De andar a chiapar aria a San Basegio;
E po finirla in mezzo ai Nicoloti,
A beverghene un goto ai Corteloti;
Se ti vol, mugier mia, fa bona ciera,
Vien dunque a spassizzar co’ mi sta sera”
Città Venezia
Provincia Venezia
Regione Veneto
Coordinate GPS 45°26′17.66″N 12°20′12.23″E
Come arrivare
In auto: Venezia è facilmente raggiungibile con l’auto attraverso i collegamenti autostradali (A4 da Trieste e da Torino, A27 da Belluno, A13 da Bologna) e stradali (SS.309 Romea dalla costa Adriatica, SS.14 da Trieste, SS.13 da Treviso, SS.11 da Padova). Una volta giunti in prossimità della laguna si imbocca il Ponte della Libertà che collega in senso letterale la terraferma a Venezia. Le indicazioni per Venezia portano a Piazzale Roma, il punto più estremo a cui si può accedere con la macchina. Qui è necessario parcheggiare la propria vettura. L’alternativa è il grande parcheggio all’isola del Tronchetto, raggiungibile svoltando a destra dopo aver percorso il ponte translagunare. Dal Tronchetto si arriva a Venezia in pochissimi minuti, con il vaporetto o con il nuovissimo People Mover, che fa servizio di navetta fino a Piazzale Roma. Un’altra possibilità è quella di lasciare l’auto a Mestre – sia presso i parcheggi ubicati vicino all’ingresso del Ponte della Libertà che vicino alla Stazione Ferroviaria di Mestre – e raggiungere Venezia con i mezzi pubblici, sia autobus che treno.
In treno: Fermata Venezia Santa Lucia, poi proseguire a piedi o in vaporetto
In vaporetto: Linea 1: Riva del Biasio.
Per saperne di più
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