Il borlengo

Borlengo

È una sfoglia talmente sottile da risultare un velo quasi impalpabile. È croccante ai bordi e leggermente più morbida al centro, friabile e saporita. Va gustata quando è ancora calda; spalmata di lardo e parmigiano è irresistibile. Il borlengo è un piatto tipico dell’appennino modenese in Emilia-Romagna, ha il diametro che varia tra i quaranta e i cinquanta centimetri, uno spessore massimo di mezzo millimetro e un colore che può variare nelle diverse tonalità del giallo paglierino.
Recita un vecchio detto popolare: “Un Burlèng, un bicèr ed vèin e as campa ‘na vèta” (un borlengo, un bicchiere di vino e si campa una vita)
È un piatto semplice, da sempre considerato cibo povero, fatto con poca farina e molta acqua: un piatto talmente sottile e leggero da sembrare una burla. È un piatto figlio della tradizione, semplice per gli ingredienti, ma che richiede una certa abilità nella preparazione. Gli accorgimenti necessari sono stati tramandati da padre in figlio, insieme alla “sole”, la particolare padella in rame stagnato con un diametro di una quarantina di centimetri che, con o senza manico, veniva utilizzata per cuocere i borlenghi alla brace del camino o nelle cucine economiche. A Guiglia, un piccolo comune modenese, nacque la figura del borlengaio: uno specialista nella preparazione del borlengo, che offriva i suoi servigi di casa in casa, portando con sé l’attrezzatura necessaria. Pare che il borlengo sia nato a proprio a Guiglia, nella piccola e graziosa frazione di Monte Orsello, anche se molti altri comuni ne rivendicano l’invenzione.
Secondo la tradizione era l’anno 1266. In quel periodo guelfi e ghibellini erano in lotta tra loro. A Modena gli “imperiali” Grisolfi si scontravano contro gli “ecclesiastici” Aigoni. Ce lo racconta anche il Tassoni nel poema “La secchia rapita”. Quell’anno gli Aigoni ebbero la meglio, riuscirono a cacciare la famiglia avversaria dalla città e si lanciarono all’inseguimento dei nemici. Alcuni membri della famiglia dei Grisolfi trovarono rifugio e ospitalità nel castello di Monte Vallaro, che apparteneva al ghibellino Ugolino da Guiglia. Fu così che le truppe guelfe comandate dal capitano Crespon Doccia assediarono il castello. L’assedio fu lungo e presto i viveri iniziarono a scarseggiare. Gli assediati iniziarono ad allungare l’impasto per il pane con l’acqua, ogni giorno un po’ di più, fino a produrre una specie di grande ostia sottile e quasi trasparente. Il 4 luglio 1266 Monte Vallaro capitolò, Ugolino fu ferito e barbaramente ucciso, il castello fu distrutto e i pochi superstiti si dispersero per l’Appennino, raccontando l’accaduto e di quel cibo talmente leggero da sembrare una burla, ma che permise di resistere alla fame per giorni.
Sono numerose le storie e le leggende legate al borlengo, ma tutte concordano sul fatto che questo nacque nel basso Medioevo in risposta alla necessità di far fronte alla fame usando solo poca farina (un bene prezioso, costoso e talvolta scarso e difficile da trovare) e tanta acqua. La tradizione orale legata a un prodotto tipico locale ha favorito la nascita di un certo numero di ricette: ogni famiglia poteva vantare una propria variante con altri ingredienti o altre modalità di cottura, spacciandola per l’originale. Il risultato fu che venivano chiamati borlenghi dei piatti con spessori e diametri diversi, con condimenti di pancetta fresca e salsiccia al posto del lardo. Talvolta erano usate padelle diverse rispetto alla “sole”, chiamate “cotte”, costituite da due piastre in ferro più piccole, scaldate su un normale fornello e unte con cotenna di prosciutto o con mezza patata unta con olio di semi. Nella confusione nata dal chiamare cibi diversi con lo stesso nome o dall’usare un nome per identificare cibi diversi è nata la necessità di “mettere ordine” e trovare una definizione univoca di cos’è un borlengo, come si prepara e con quali ingredienti e strumenti. Fu così che il 31 luglio 1999 è stato ufficializzato un disciplinare di produzione davanti a un notaio, sottoscritto dall’allora presidente della Provincia di Modena e dai sindaci dei comuni interessati dalla produzione del borlengo. Fu depositato presso la Camera di Commercio di Modena nel 2003, con lo scopo di tutelare il borlengo con il marchio “Tradizione e sapori di Modena”.
È stato così definito che “BORLENGO” (in dialetto “burlang” o “burleng”) è “quel cibo preparato una pasta liquida, chiamata “colla”, in recipiente di rame stagnato, chiamato “sole” o “ruola”, condito con un composto chiamato concia (“cunza” o “counza”) e Parmigiano Reggiano grattugiato (“furmai”, “format”) e consumato appena pronto piegandolo in quattro (ripiegato due volte su se stesso). La “colla” è un composto liquido preparato con farina, acqua e sale, con la possibilità di aggiunta di uova (fino a cinque ogni chilogrammo di farina). Il condimento (cunza) è un impasto caldo o freddo di pancetta e lardo macinati, aggiunto di aglio e rosmarino pestati (con possibilità di aggiunta di una minima parte di salsiccia)”.
E ancora : “Non si riconosco con il termine BORLENGO quei cibi la cui preparazione è realizzata con ingredienti diversi da quelli citati sopra. Non rientrano nella dicitura BORLENGO quei cibi che per tradizione sono denominati con altri termini (quali “zampanelle” o “ciacci”) o che, ancora per tradizione, sono preparati usando recipienti di cottura diversi dal sole o ruola (ad esempio “cottole”, piastre o padelle in ferro, acciaio o alluminio). ”.
Seguendo le indicazioni fornite dal disciplinare è possibile preparare da sé degli ottimi borlenghi fatti in casa, nel rispetto della tradizione. In alternativa è possibile partecipare ad una delle numerose manifestazioni che negli ultimi anni sono state organizzate per rilanciare il borlengo e renderlo popolare anche oltre i confini dell’appennino, oppure partecipare ad uno dei corsi e laboratori di cucina organizzati dal Museo del Borlengo di Zocca.

Ingredienti
Per la colla:
500 g di farina di frumento
1 uovo
50 cl di acqua (mezzo litro)
sale e pepe q.b.
Per la cunza:
150 g di lardo
1 rametto di rosmarino
1 spicchio d’aglio
100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

Preparazione
In una ciotola preparare la pastella (colla) mescolando insieme l’uovo sbattuto, la farina e l’acqua. L’impasto deve essere liquido. Sistemare di sale e pepe e lasciare riposare. Nel frattempo preparare la cunza battendo finemente il lardo, aggiungendo l’aglio tritato e i rametti di rosmarino anch’essi triturati.
Il disciplinare recita che: “All’inizio della cottura il sole o ruola deve essere scaldato e unto con una cotica di grasso di maiale. Si versa poi nel “sole” la “colla” in quantità di un mestolo. Si fa ruotare il sole o ruola in modo che la colla si espanda in maniera uniforme sul fondo del recipiente. Dopo qualche minuto, al momento in cui si solleva dal fondo del recipiente di cottura, il borlengo deve essere capovolto e tenuto per alcuni secondi ancora nel sole o ruola per essere condito con la “cunza”, distribuita per mezzo di uno “scopino” di saggina o fatta “cuccolare” con una forchetta, e cosparso di una manciata di Parmigiano Reggiano grattugiato. Il tempo di cottura deve essere intorno ai 5-7 minuti.”.
Una volta pronto, il borlengo va chiuso ripiegandolo due volte su stesso. Va servito e gustato quando è ancora caldo.

Buon appetito!

 

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