A Valsanzibio, nel padovano, il giardino di Villa Barbarigo offre un percorso di bellezza e perfezione.
Venendo da Padova e percorrendo la SP25d, anche nota come Via Diana, all’improvviso sulla sinistra lo sguardo viene colpito da un bel portale barocco, opera del Bernini, apparentemente in mezzo al nulla, che fa da cornice ad un cancello chiuso. Vi si accede salendo pochi gradini che emergono da uno specchio d’acqua acquitrinoso, insieme a delle bricole a bande bianche e azzurre, alle quali sarebbe possibile attraccare una barca. Il piccolo stagno è quello che resta di una rete di canali navigabili che collegava Venezia alla Valle di Sant’Eusebio, qui detta Valsanzibio, nei colli Euganei.
Nel 1631 un corteo di barche portò qui Francesco Zuane Barbarigo, i suoi figli e la sua corte: esponente di una delle più antiche ed importanti famiglie patrizie di Venezia, rimasto vedovo della moglie morta di peste, Francesco cercava di mettersi in salvo dal terribile “morbo manzoniano” che in quegli anni mieteva tanta parte della popolazione. Fece voto che, se si fosse salvato insieme ai suoi figli, avrebbe fatto erigere un monumento per celebrare la misericordia del Signore. Così fu ed i lavori per abbellire il giardino di Villa Barbarigo proseguirono anche dopo la sua morte, per mano dei suoi due figli, Antonio e Gregorio. Questi fecero del giardino un luogo ameno, di ordine, bellezza, armonia e meditazione, nel quale sia il lavoro, con i suoi affanni, che l’inganno, con la sua falsità, erano banditi. Il giardino doveva essere anche un luogo di pace e serenità, nel quale era possibile meditare e seguire un percorso di crescita e redenzione.
Ancora oggi passeggiare lungo i viali del giardino di Villa Barbarigo è un’esperienza piacevole, rilassante e fuori dal tempo. Non si sente il rumore del traffico della vita quotidiana, ma il mormorio liquido delle peschiere, lo zampillio delle fontane e dei giochi d’acqua e l’allegro cinguettio degli uccelli, nascosti tra le verdi fronde di alberi secolari. Ci sono fiori, animali e numerose statue di pietra d’Istria, con iscrizioni sui basamenti, che rappresentano divinità ed allegorie ed hanno numerose storie da raccontare per guidarci verso la Rivelazione.
La nostra avventura inizia dall’entrata originale, quel cancello chiuso che avevamo visto dalla strada: è l’arco di Sileno ed il bel portale barocco è dedicato alla dea Diana. Sono entrambe divinità legate ai boschi: la prima è una divinità minore selvaggia e lasciva che simboleggia il peccato, al quale voltiamo le spalle dal momento in cui abbiamo (virtualmente) oltrepassato il portale; la seconda è una dea legata alla caccia, alla luna ed alle sue fasi, e quindi al cambiamento: è di buon auspicio per il percorso che stiamo per intraprendere. Di fronte a noi c’è un viale d’acqua, composto dalla Peschiera dei Fiumi e dalla Peschiera dei Venti, separate da uno spiazzo sul quale troneggia la fontana dell’Iride. Sono incorniciate da vialetti di terra battuta soffici al cammino, che offrono delle panchine per riposare o godere di un po’ di relax all’ombra di alte pareti verdi. È un colpo d’occhio bellissimo, una prospettiva mozzafiato, dove il verde della vegetazione folta ma ordinata e dei suoi riflessi sull’acqua delle peschiere si offre in mille sfumature diverse. Eleganti cigni neri rubano la scena alle statue di divinità fluviali, quali il Brenta ed il Bacchiglione, ciascuna con un orcio dal quale sgorga acqua fresca e cristallina che, fluendo, purifica ed allontana il male che ristagna ed imputridisce. Più avanti la fontana dell’Iride regala emozioni col suo arcobaleno ed alle sue spalle la Peschiera dei Venti è riconoscibile dalle tre piccole grotte alla base delle statue; da quella centrale sgorga una cascatella, mentre in quelle laterali sono imprigionati i venti che Eolo “scioglie e lega”. Eolo è in piedi al centro, tiene in mano il suo scettro ed è accompagnato da una bella Ninfa. Alla sua destra Borea è incatenato mentre alla sinistra dispiega le ali Zefiro, vento di primavera, annunciando la rinascita. Elevandoci di qualche gradino arriviamo all’incrocio dei due viali principali del giardino, al punto centrale, segnato dalla Fontana della Pila, semplice ed elegante, in marmo rosso e forma ottagonale. Da qui il percorso di purificazione cede il passo a quello di ricerca e meditazione e questo cambiamento è segnato da una nuova direzione da prendere. Volgendo lo sguardo a destra vediamo Villa Barbarigo, che rappresenta la meta, ma il vecchio Argo, che sonnecchia appoggiato ad un albero con gli occhi socchiusi, è la nostra coscienza: anche se assopita, questa non può essere ingannata e ci dice che non siamo pronti; di fronte, Mercurio ha abbandonato le sue attività fraudolente e suona un flauto; nello stesso modo anche noi dobbiamo abbandonare le nostre abitudini e seguire una nuova via di ricerca. Proseguiamo a sinistra, costeggiando alte pareti verdi e cercando l’ingresso del labirinto di bosso. Oggi c’è un’entrata facilitata per i turisti, che non sempre è accessibile, ma all’epoca era richiesto uno sforzo per trovarla, così come la ricerca necessaria a migliorare noi stessi e perfezionarci richiede impegno. Il percorso all’interno del labirinto è di circa un chilometro e mezzo, disegnato da alte pareti verdi. Il centro è segnato da un osservatorio rialzato, dal quale è possibile ammirare tutta l’elegante geometria dei percorsi tracciati. La nostra vita è un labirinto di scelte, alcune delle quali ci portano a vicoli ciechi, costringendoci a tornare sui nostri passi; alcune sembrano comode e, come il vizio, ci fanno perdere la giusta direzione. Dopo averle affrontate dobbiamo prenderne coscienza individualmente, nella solitudine, e la Grotta dell’Eremita ci attende qui di fronte per meditare. Poi saremo pronti per tornare sul viale principale, lasciare a sinistra la “Vasca dei Pesci Rossi”, che dal XIX secolo ha sostituito un bel prato con lo stemma dei Barbarigo disegnato dai fiori, e superare la “Fontana della Pila”. Finalmente la meta si avvicina e a sinistra troviamo un’isola di forma ellittica, abitata da conigli ed uccellini, creature condannate a vivere nella gabbia del tempo e dello spazio, ma capaci di sopravvivere al tempo grazie alla loro fecondità. A destra, sulla cima di una collinetta simmetricamente ellittica, il Monumento al Tempo è rappresentato dal vecchio dio Cronos, con lo sguardo severo volto ad occidente, nel futuro. “Volan col tempo l’hore, e fuggon gli anni”, eppure egli è fermo, con le ali piegate, un ginocchio a terra, chino mentre sorregge sulle spalle il peso del passato. Colui che è in grado di elevarsi e trascendere supera con lo spirito i limiti del tempo.
Siamo quindi pronti ad affrontare le insidie rappresentate dagli “spilli d’acqua” che sprizzano a tradimento dalla “Fontana dei Giochi” e spruzzano coloro che si sono seduti sulle panchine di pietra ad osservare il putto con la sua cesta di fiori e le allegre figure disegnate dai getti. Le statue di Tifeo e Polifemo ci ammoniscono di non essere piccoli o ciechi di fronte alle avversità, ma di essere sempre coraggiosi ed accorti anche quando siamo ormai vicini alla meta, mentre Ope e Flora, materne e primaverili, preannunciano la rinascita portata dalla rivelazione ormai vicina, oltre la breve scalinata già in vista, difesa da due pericolosi felini. Questi potrebbero sbarrarci il passaggio ma le loro fauci sono spalancate per ricevere l’acqua di altre fontanelle e sono quindi troppo impegnati a bere per occuparsi di noi. Dopo un ultimo gioco d’acqua possiamo dare la giusta attenzione a ciascun passo dell’ascesa e leggere il sonetto, di autore ignoto, che reca due versi su ciascun gradino. È rivolto al “Curioso viator che in questa parte Giungi e credi mirar vaghezze rare” per spiegargli che il paradiso che può vedere intorno a sé è opera della natura e non dell’uomo; lontani da dispute, affanni e problemi, possiamo finalmente ammirare la bellezza che ci circonda ed apprezzarla davvero, come se la vedessimo per la prima volta: “Venere qui più bella esce dal mare”.
Il “Piazzale delle Rivelazioni” si apre oltre gli scalini, di fronte a Villa Barbarigo. Oggi è chiuso da un cancello che non impedisce di ammirare la “Fontana dell’Estasi”, coronata dalle statue che rappresentano il Riposo, la Virtù o l’Agricoltura, il Potere o il Genio e la Sapienza o Solitudine; se ci affacciassimo dai balconi della villa vedremmo Adone o la Bellezza, l’Abbondanza con la cornucopia, il Diletto e l’Allegrezza; sono i privilegi del padrone ed i doni a lui offerti dal giardino.
Terminato il nostro percorso siamo finalmente pronti a godere appieno delle essenze, dei giochi di luce dei raggi che filtrano tra le foglie di alberi secolari e colorano l’aria di arcobaleni leggeri; siamo finalmente pronti a cogliere i doni che il giardino di Villa Barbarigo ha in serbo per noi, Signori per un giorno di tanta bellezza.
Città Galzignano Terme, località Valsanzibio
Provincia Padova
Regione Veneto
Coordinate GPS 45°17′37.41″N 11°43′37.7″E
Come arrivare
Villa Barbarigo si trova in Via Diana al numero 2.
In auto: Valsanzibio dista da Padova una ventina di chilometri ed è raggiungibile percorrendo la SS 16 in direzione sud. Si supera il centro di Battaglia Terme e si gira a destra al semaforo attraversando il ponte e proseguendo sulla SP 16. Seguendo le indicazioni si arriva facilmente al parcheggio allestito all’entrata del giardino storico.Per saperne di più
È possibile trovare tutte le informazioni relative al Giardino Storico di Villa Barbarigo a Valsanzibio sul sito: https://www.valsanzibiogiardino.it/
Cosa visitare nei dintorni
– Arquà Petrarca, suggestivo borgo sui colli euganei, meta di pellegrinaggio letterario.
– Monselice
Visits: 1367
Articolo molto ricco di suggestioni per godere pienamente della visita. Tuttavia il sito, visitato ieri,ha delle criticità: le sculture non sono in buone condizioni, il percorso simbolico si arresta prima della Villa e quindi tutte le statue non sono apprezzabili, il giardino è pieno di cartelli di divieto, manca invece sotto il magnifico Portale d’accesso un cartello leggibile che spieghi la simbologia figurativa del complesso.