Il cimitero monumentale di Milano è un affascinante museo a cielo aperto che, come una vastissima antologia, narra numerosissime storie su Milano e l’Italia.
Come un libro aperto, le pagine del cimitero monumentale di Milano raccontano numerose storie. Parlano di amore e morte, sofferenza e speranza, fede, sogni e grandi opere.
Alla rilegatura pensò l’architetto Carlo Maciachini, che disegnò la copertina in stile eclettico, come un corpo centrale rialzato, il Famedio, e due ali laterali aperte da arcate ariose nella parte superiore. Non un muro ma un’elegante cancellata in ferro battuto divide la città dei vivi da quella dei morti, lasciando passare la luce che fa risplendere la facciata di marmo bianco botticino alternato a pietra rossa della Val Camonica ed i mosaici dorati.
Nel Famedio riposano coloro che fecero grande l’Italia; non importa se siano stati cittadini milanesi e neppure se i loro corpi siano sepolti qui o meno: c’è una commissione apposta a decidere chi è degno del “Pantheon di Milano” ed i loro nomi risaltano sotto un firmamento di cobalto e stelle dorate. Alessandro Manzoni sta al centro; Carlo Cattaneo e Luca Beltrami riposano nei sarcofagi come ringraziamento per i loro interventi di salvaguardia e recupero del castello sforzesco; ci sono il busto di Giuseppe Verdi e quello del Caravaggio. I nomi di Carlo Forlanini e Salvatore Quasimodo compaiono su semplici lastre di pietra. Ci sono lapidi individuali e collettive e sulle tre lingue di ottone sono incisi i nomi di coloro che riposano nella cripta, da Giuseppe Meazza a Dario Fo.
Giriamo pagina. Alle spalle del Famedio, in uno spiazzo circolare, c’è un’intelaiatura di metallo a forma di cubo, realizzata con tubi verniciati di bianco, che, intersecandosi, formano una croce tridimensionale; al centro ha una gavetta avvolta nel filo spinato e parte delle facciate è coperta da lastre di marmo bianco di Candoglia e granito nero di Svezia. È il monumento ai caduti nei campi di sterminio nazisti, progettato nel 1945 dallo studio BBPR. L’acronimo nasconde i nomi dei quattro architetti fondatori, due dei quali furono deportati. Uno di loro morì nel campo di Gusen. Intorno al monumento ci sono sette grandi lastre con incisi i nomi delle 847 vittime milanesi; tra di loro compare anche Mafalda di Savoia.
Voltiamo pagina. Mario Palanti era un architetto milanese, abile e molto attivo all’inizio del secolo scorso. Lavorò per un decennio in Sud America, soprattutto tra Buenos Aires e Montevideo. È suo l’ambizioso progetto di erigere a Roma il più alto grattacielo del mondo per l’epoca. Disegnò la tomba di famiglia in granito rosa di Baveno. Eccola là, un massiccio ed austero mausoleo a forma di sarcofago sorretto da tronchi di colonne. Sul retro ci sono la porta di ferro battuto, dalla quale si accede alla cripta, e delle targhe di ottone con incisi nomi illustri. Fu realizzata tra il 1924 ed il 1930; la cripta fu usata come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1974 il Palanti la donò al Comune di Milano, che ne fece un mausoleo civico. Nella cripta riposano anche Ermanno Einstein, famoso imprenditore e padre di Albert Einstein, che a Milano aprì una piccola fabbrica di dinamo, Walter Annicchiarico, in arte Walter Chiari, e Giovanni D’Anzi, musicista e compositore italiano che ricordiamo anche per i testi di canzoni come “Oh mia bela Madunina”.
Poco più avanti si apre un nuovo capitolo, con una nuova storia. Su un letto di bronzo, con lo schienale un po’ rialzato, dorme una fanciulla giovane e bellissima: è Isalbella Airoldi Casati. Ha la testa appoggiata sul cuscino, con i lunghi capelli sparsi un po’ in disordine. Ha le labbra dischiuse e l’espressione serena. Il lenzuolo, fresco di bucato e disteso con morbide pieghe, è scivolato, lasciandole scoperti i seni nudi. Isabella sta sognando e vede una schiera di angeli e la porta del paradiso che si apre per lei: morì di parto a ventiquattro anni; era la moglie del barone milanese Gianluigi Casati Brioschi, che commissionò la tomba ad Enrico Butti, maestro dell’accademia di Brera. Era la fine del XIX secolo. Nel progetto originale non c’erano né il basamento di marmo, né il piccolo recinto protettivo: doveva essere possibile avvicinarsi ad Isabella, ammirarne la bellezza, condividere con lei momenti di raccolta intimità ed emozione. Dal viso traspare la purezza del suo animo; non c’è nulla di blasfemo nella sua parziale nudità. Solo il crocifisso appoggiato sul petto ci dice che Isabella non si sveglierà più.
A qualche passo di distanza inizia una nuova storia, di nuovo firmata da Enrico Butti. È l’edicola della famiglia Besenzanica, realizzata in pietra rossa della Valcamonica e bronzo, all’inizio del secolo scorso. Ernesto Besenzanica era un importante imprenditore milanese che progettò e realizzò numerose ferrovie in Italia ed in Europa. Per lui e la sua famiglia il Butti scelse una scena di connubio tra lavoro e natura: due contadini cercano di trascinare un aratro e due buoi reticenti lungo un percorso scosceso, dove le asperità rappresentano le difficoltà della vita. Le figure si collocano idealmente all’altezza del ventre di un corpo femminile, la Natura, della quale emerge la testa nella parte superiore; le terga della donna non sono nemmeno abbozzate nella pietra; lei però è rappresentata in punta di piedi, pronta a scattare come una madre per difendere i suoi figli in caso di bisogno.
Ci sono ancora moltissime pagine da sfogliare in questa vastissima antologia: il cimitero monumentale di Milano è un museo a cielo aperto esteso per oltre duecentocinquantamila metri quadri, ricco di statue di marmo, sculture di bronzo, edicole di famiglia, ciascuna con una sua storia da raccontare. Tra le tante, non posso non citare quella de “L’ultima Cena”. L’opera è l’edicola della famiglia Campari ed è un gruppo scultoreo in bronzo su basamento di pietra, realizzata da Giannino Castiglioni nel 1935. È ispirata al “Cenacolo” di Leonardo da Vinci, con il tavolo più corto e Gesù che spezza il pane stando in piedi. Tra gli apostoli Giuda è subito riconoscibile per le sue fattezze sgradevoli, perché, come fa chi mente, nasconde le mani e tiene un sacchetto, i trenta denari, tra i piedi. Sul tavolo spicca il calice: è enorme! Potrebbe essere un tributo alla principale attività di famiglia? Non lo sappiamo ma di sicuro ha ispirato il soprannome che i Milanesi hanno tributato all’opera: “L’Ultimo aperitivo”.
Città Milano
Provincia Milano
Regione Lombardia
Coordinate GPS 45°29′00.54″N 9°11′21.79″E
Come arrivare
In treno: la stazione ferroviaria più vicina è quella di Garibaldi.
In metropolitana: Linea Lilla – MM5: fermata Monumentale.
Cosa visitare nei dintorni
Per saperne di più
È possibile trovare tutte le informazioni relative al cimitero monumentale di Milano sul sito internet: http://www.comune.milano.it/
Affrontano lo stesso tema i seguenti articoli:
– Il mistero delle mummie di Ferentillo (TR)
– La vita al cimitero delle Fontanelle (NA)
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