Situato sulla sponda bergamasca del fiume Adda, Crespi d’Adda è un villaggio operaio che “si è mantenuto praticamente inalterato nel corso del tempo ed è tra i più importanti esempi di villaggi operai in Italia e nel mondo” (UNESCO, 1995).
Dall’alto della torre più alta del suo castello, Silvio Crespi osservava il suo piccolo mondo operaio: file ordinate di tetti rossi emergevano dal verde di prati ed alberi, in quell’area compresa tra i fiumi Brembo ed Adda che, incontrandosi, delimitano la punta dell’Isola Bergamasca. Più della metà dell’area era occupata da una grande ed operosa fabbrica tessile, il resto dalle case di operai, capi reparto e dirigenti, da quelle del prete e del dottore e da altri edifici come la scuola, l’ospedale, il dopolavoro, il teatro, l’albergo per ospitare clienti e maestranze specializzate, i lavatoi con l’acqua calda, i bagni pubblici, la cooperativa nella quale tutto era venduto a prezzi calmierati ed altri servizi d’avanguardia per gli abitanti del piccolo villaggio. Al di là dell’Adda blu e gorgogliante c’era una piccola centrale idromeccanica, poi idroelettrica, con tre turbine per dare energia alla fabbrica ed all’abitato, che già dalla fine del XIX secolo di sera era illuminato da lampioni a sistema Edison. Al di sopra dei tetti si ergevano alte ciminiere affusolate e la cupola verde rame della chiesa, realizzata ad immagine e somiglianza del Santuario di Santa Maria di Piazza, disegnata dal Bramante ed eretta nel centro di Busto Arsizio.
Silvio Crespi era il rampollo di una ricca famiglia di origine bustocca, imprenditori tessili da generazioni. Uomo colto, laureatosi a soli ventun anni, ebbe modo di viaggiare e rendersi conto delle diverse realtà industriali in Europa: in Germania fece un’esperienza come operaio in una fabbrica di Colonia, mentre in Gran Bretagna lavorò come impiegato in una famosa ditta produttrice di macchine tessili di Manchester. Ebbe modo di studiare il modello delle “company town” inglesi e quando tornò in Italia affiancò il padre Cristoforo Benigno Crespi nell’amministrazione dell’azienda paterna e del piccolo villaggio da lui fondato. Convinto che un lavoratore felice sia più produttivo, già dal 1889 Silvio Crespi si adoperò per migliorare le condizioni di vita dei suoi operai: diede in affitto a ciascuno, a basso prezzo, una villetta su due piani, quattro stanze illuminate da ampie finestre, un corridoio che portava alla cucina ed al salotto e, di sopra, le camere da letto; mobilio a parte, tutte le case degli operai erano uguali per struttura e dimensioni, con facciate color ocra abbellite da fregi e marcapiani in cotto, un piccolo giardino sul davanti ed un orticello sul retro. Una bassa cancellata realizzata con le “reggette”, le corte barre d ferro con le quali veniva imballato il cotone, dividevano le unità abitative. La famiglia Crespi provvedeva affinché non mancassero mai né concime, né sementi e cercava di provvedere al meglio alle necessità dei lavoratori, perché, come sosteneva Silvio Crespi, “ultimata la giornata di lavoro, l’operaio deve rientrare con piacere sotto il suo tetto: curi dunque l’imprenditore ch’egli vi si trovi comodo, tranquillo ed in pace, adoperi ogni mezzo per far germogliare nel cuore di lui l’affezione, l’amore alla casa. Chi ama la propria casa, ama anche la famiglia e la patria, e non sarà mai la vittima del vizio e della neghittosità.”
Tra i servizi offerti c’era anche l’istruzione: i figli dei lavoratori potevano studiare gratuitamente alla scuola privata, seguendo anche corsi propedeutici alle attività che si svolgevano nella fabbrica. Nell’edificio accanto alla chiesa, in cima a una lunga scalinata in ceppo d’Adda, si andavano formando le nuove maestranze. Gli alunni più meritevoli potevano contare sul servizio navetta che li avrebbe portati all’istituto professionale di Bergamo per essere avviati alla formazione impiegatizia. Il Crespi provvedeva affinché quaderni e pennini non mancassero mai.
Era previsto anche un servizio gratuito di assistenza medica continua: un medico era sempre a disposizione e viveva in un villino con un ambulatorio sulla parte alta del villaggio, proprio accanto alla casa del prete: entrambi erano stipendiati dal Crespi per fornire ai lavoratori sia le cure del corpo che quelle dell’anima; una volta alla settima era disponibile gratuitamente anche un dentista; l’ospedale, fornito delle apparecchiature più moderne, era stato costruito nei pressi dell’ingresso della fabbrica in modo da poter intervenire prontamente nel caso di infortunio da lavoro; se necessario era garantita la prelazione dei lettini dell’ospedale Maggiore di Milano.
Le giovani ragazze orfane potevano contare su una dote per potersi sposare; in generale le donne della famiglia Crespi si attivavano in opere caritatevoli e doni generosi per le famiglie del villaggio, distribuendo premi e regali ai bimbi in età scolare per l’occasione di saggi, inaugurazioni dell’anno scolastico, compleanni ed onomastici. Nelle foto dell’epoca bimbi sorridenti ed in salute calzano scarpe invece degli scomodi zoccoli dei loro coetanei che vivevano nei dintorni.
Le cure della famiglia Crespi riguardavano anche i defunti, che potevano trovare posto nel piccolo cimitero inaugurato nel 1908: a ciascuno Silvio Crespi provvedeva una semplice croce in ceppo d’Adda, uguale per tutti, disposta ordinatamente sul prato tagliato all’inglese; l’unica eccezione era data dal grande mausoleo della famiglia padronale, la cui forma ricorda un’antica piramide Maya.
Nonostante il lavoro in fabbrica fosse massacrante e gli infortuni frequenti e gli stipendi bassi, la comunità continuava a crescere e prosperare; la gestione illuminata di Silvio Crespi fu premiata da un incremento esponenziale della produttività ed in pochi anni il cotonificio passò da cinquemila a sessantamila fusi, milleduecento telai e quattromila operai. Le attività del cotonificio andavano dalla filatura, alla tessitura, al candeggio del cotone.
Fu il crollo di Wall Street del 1929 a dare un duro colpo a questa gestione fino a causarne la fine: per pagare i debiti con la Banca Commerciale Italiana i Crespi dovettero cedere il palazzo di via Borgonovo, Villa Pia a Orta e l’intero villaggio lungo l’Adda, escluso il mausoleo familiare. I nuovi proprietari si susseguirono nel corso degli anni e non si accollarono più le spese di mantenimento dei servizi che i Crespi avevano garantito agli operai; nel 1975 arrivarono a mettere in vendita anche la parte residenziale del villaggio e gli abitanti di Crespi d’Adda dovettero, se possibile, riscattare le case che da sempre abitavano. Poi nel 2003 la fabbrica fu chiusa definitivamente: le campane suonarono a lutto allo scoccare del termine dell’ultimo turno, onorando e rimpiangendo la fine di un’epoca.
Oggi guide preparate accompagnano gruppi di turisti a visitare un sito che dal 1995 fa parte del patrimonio UNESCO, raccontando la storia e numerosi aneddoti sui pregi e difetti della “gestione Crespi”. Il palazzo padronale a forma di castello, in stile eclettico e mattoni, è ormai abbandonato ed il cancello rosso della fabbrica è chiuso da anni; piccoli segni di incuria sono visibili qua e là ed il villaggio si è spopolato; nonostante ciò, osservando le casette ordinate, le decorazioni in mattone, l’armonia dello stile funzionale ma bello che avvolge il villaggio, emergono tutta l’attenzione che Silvio Crespi aveva per i dettagli, le premure che rivolgeva ai suoi operai ed alle loro famiglia e l’amore che ha investito in qualcosa di grande in cui credeva davvero. Ecco il suo testamento spirituale, poche righe che egli stesso scrisse di suo pugno, righe che dovrebbero far riflettere oggi più che mai, visto che troppo spesso in nome del guadagno si sacrificano sia la qualità del lavoro che quella della vita:
“I più bei momenti della giornata sono per l’industriale previdente quelli in cui vede i robusti bambini dei suoi operai scorrazzare per fioriti giardini, correndo incontro ai padri che tornano contenti dal lavoro, sono quelli in cui vede l’operaio svagarsi ad ornare il campiello o la casa linda e ordinata: sono quelli in cui [… ] fra l’occhio del padrone e quello del dipendente corre un raggio di simpatia, di fratellanza schietta e sincera. Allora svaniscono le preoccupazioni d’assurde lotte di classi, e il cuore si apre ad ideali sempre più altri di pace, d’amore universale.
Ed è in questi ideali della nostra gioventù che dedichiamo queste povere pagine, che anch’esse possano giovare alla loro realizzazione, almeno come giova un granello di sabbia nella costruzione di un grande edificio”.
Città Crespi d’Adda, frazione di Capriate San Gervasio
Provincia Bergamo
Regione Lombardia
Coordinate GPS 45°35′48″N 9°32′10″E
Come arrivare
In auto: da Milano. Seguire l’Autostrada A4 in direzione di Venezia e uscire al casello di Capriate. Poi seguire i cartelli che indicano Crespi d’Adda, distante appena 2,5 Km. Crespi d’Adda è zona a traffico limitato; i parcheggi più vicini distano poco meno di 1 km dal centro; poi è necessario proseguire a piedi.
In autobus: Da Milano o da Bergamo è possibile prendere l’autobus autostradale o un qualsiasi autobus per Trezzo. Arrivati a Trezzo scendere alla fermata di via BIFFI (le pensiline vicino al ponte) quindi restano 20 minuti a piedi per giungere a Crespi passando per Concesa e attraversando la passerella sul fiume.
In bicicletta: Seguire la pista ciclabile lungo l’Adda o lungo il naviglio Martesana fino al Santuario di Concesa (frazione di Trezzo). Attraversare il fiume Adda lungo la passerella e proseguire verso destra: vi troverete accanto al castello del Villaggio di Crespi.
Cosa visitare nei dintorni
– Trezzo sull’Adda, suggestivo confine tra storici domini (BG).
– Bergamo
– Castello di Malpaga (BG)
– Castello Albani a Urgnano (BG)
– Calcio (BG)Per saperne di più
È possibile trovare tutte le informazioni relative al villaggio Crespi d’Adda sul sito: http://www.villaggiocrespi.it/
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda è stato inserito dall’UNESCO nella lista dei patrimoni mondiali.
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